A volta capita che una voce nella nostra testa ci dica che non siamo capaci, che non siamo abbastanza bravi, che non riusciamo mai a completare una certa attività o altre frasi di questo tipo. Spesso sono parole che ci sono state dette dagli altri (magari genitori, insegnanti o allenatori) e che nel tempo hanno costruito la nostra memoria autobiografica, ovvero il modo in cui ci raccontiamo la nostra vita. In questo approfondimento scopriamo come costruire positivamente la nostra memoria autobiografica (e non lasciarlo fare agli altri).
In questo episodio:
00:00 Introduzione
03:00 La memoria autobiografica
15:07 Come costruire una memoria autobiografica positiva
26:32 Riconoscere le voci negative nella nostra testa
33:51 Conclusione
A molti sarà capitato di avere una voce nella testa che ci parla, commentando la nostra vita (è quello che gli americani chiamano self talk). Questa voce aggiunge interpretazioni alla nostra esperienza e va a formare la nostra memoria autobiografica.
Nell'articolo Thinking and talking about the past: Why remember? le ricercatrici Susan Bluck e Nicole Alea scrivono che in tutte le culture, a partire dai tre anni, gli esseri umani pensano e parlano del proprio passato e così facendo si costruiscono una memoria autobiografica.
In un altro articolo le due autrici suggeriscono che la memoria autobiografica serva a:
Dunque ciò che abbiamo imparato a credere di noi stessi condiziona le nostre scelte future: scegliamo in base all'io che crediamo di essere.
Per costruire una memoria biografica positiva dobbiamo modificare il modo in cui ci parliamo. Perché troppo spesso il peggior giudice di noi stessi, il più cattivo e spesso anche aggressivo, siamo proprio noi.
Un giovane atleta seguito dal nostro Rodolfo Cavaliere aveva finito per perdere la voglia di giocare al suo sport preferito proprio a causa del modo in cui si raccontava la sua esperienza: in maniera così dura con sé stesso che era finito per non sentirsi capace, quando invece aveva talento.
Un esercizio che possiamo fare in questi casi è prestare attenzione alle cose che ci sono venute bene. Al termine di ogni allenamento quel giovane atleta ha iniziato a scrivere tre cose di cui era anche solo minimamente soddisfatto. All'inizio erano piccole cose, molto tecniche, ma col tempo ha cominciato a fare attenzione agli aspetti positivi e gioiosi della sua esperienza. Oggi è ancora un atleta e gioca a livello agonistico.
Questo meccanismo funziona se accompagna un aumento del senso di competenza. Se un bambino fatica a leggere e pensa di non essere capace a farlo non si può cambiare il modo in cui si racconta la sua vita solo ripetendogli "Sei capace". Ma si possono ottenere risultati straordinari affiancando a un percorso di miglioramento della letture l'abitudine a notarlo, quel miglioramento. Bisogna insomma far andare di pari passo l'aumento della competenza e la costruzione di una memoria autobiografica positiva.
Le voci negative nella nostra testa non scompaiono di punto in bianco. Per questo bisogna imparare a non sentirle una parte del nostro io. Un modo per riuscirci è dare un nome a quella voce e riderci sopra. I bambini spesso le danno un nome divertente, come Bruto, oppure quello di un personaggio dei cartoni animati.
Nel momento in cui personifichiamo quella voce la sentiamo meno nostra, non è più una parte integrante della nostra identità ma qualcuno che parla dentro di noi. E spesso è proprio così: sono i giudizi degli altri (genitori, insegnanti, allenatori, amici, ecc.) che abbiamo introiettato e fatto nostri. Siccome sono entrati dentro di noi dall'ambiente in cui siamo cresciuti possiamo benissimo abbandonarle.
Siamo noi a costruire la nostra memoria autobiografica, dunque possiamo riscriverla. Si può cominciare notando gli aspetti positivi. Poi, quando ci siamo abituati a vedere le cose belle della vita, possiamo lavorare sulle voci negative nella nostra testa sdrammatizzando e iniziando a non concepirle più come una parte di noi.
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