Negli ultimi anni ci siamo abituati a riconoscere le difficoltà di apprendimento e impostare una didattica che ne tenga conto. Ma cosa facciamo per gli alunni plusdotati? Chi ha capacità cognitive sopra la norma spesso si annoia, si distrae o diventa irrequieto.
In questo Approfondimento impareremo a riconoscere i casi di plusdotazione cognitiva insieme a Martina Pedron, psicologa e psicoterapeuta di Polo Apprendimento.
In questo episodio:
04:23 La differenza tra gifted e plusdotazione cognitiva
12:44 Come si misura l'intelligenza
26:22 Le caratteristiche degli alunni plusdotati
40:16 Come rapportarsi con i bambini plusdotati
53:29 Il primo giorno di scuola nel film Gifted
Delineare che cos'è la plusdotazione cognitiva è una sfida ancora aperta. Sembra che esistano più di cento definizioni di giftedness, che è un concetto diverso da plusdotazione ma viene spesso confuso. Cerchiamo di fare chiarezza.
Gifted è un termine inglese che significa letteralmente 'che ha un dono, dotato'. In italiano viene spesso tradotto con plus-, iper- o superdotazione cognitiva. Tuttavia c'è una differenza tra gifted e pusdotazione.
Nel 2002 una delle più importanti associazioni in questo ambito, la National Association for Gifted Children, diede questa definizione di gifted:
Persone che mostrano, o hanno il potenziale per mostrare, un livello eccezionale di performance, se confrontati con i loro pari, in una o più delle seguenti aree:
Questa definizione racchiude tanti aspetti e sfaccettature e sembra far riferimento al talento, ovvero all'eccellenza in un particolare ambito. Ma possedere un talento non è sufficiente per rientrare nel campo della plusdotazione.
Quando parliamo di plusdotazione cognitiva ci riferiamo, in primo luogo, all'abilità intellettiva generale. Dunque, all'intelligenza. L'intelligenza è definita come la capacità di produrre un comportamento adattivo, ovvero che serve a raggiungere un obiettivo.
Ci sono diversi strumenti per misurare l'intelligenza. La più diffusa è la scala Wechsler. In questa scala il livello medio equivale al valore 100 e disponendo la popolazione in un grafico otterremo una forma a campana di Gauss dove la maggioranza (il 60% circa) si trova tra 85 e 115.
Negli estremi, a sinistra e a destra, si trova un 2% di popolazione. A sinistra ci sono persone con intelligenza molto bassa, con tutti i casi di funzionamento intellettivo limite. A destra molto alta: qui ricadono i casi di plusdotazione.
La plusdotazione, dunque, ha a che fare con un quoziente intellettivo superiore a 130 sulla scala Wechsler. A volte viene allargata un po' questa definizione fino a comprendere chi ha più di 120, ma gli studiosi sono ormai concordi a restringere il campo a chi presenta un quoziente superiore a 130.
Un avvertimento è da dare: il quoziente d'intelligenza non è in grado da solo di definire la plusdotazione, ma è da considerarsi come un indicatore della sua presenza. Oggi si cerca sempre più di inquadrare il fenomeno della plusdotazione non in rapporto a un indicatore generale di intelligenza ma alle funzioni intellettive, ovvero a come l'intelligenza si esprime anche in rapporto al conteso sociale o emotivo. Dunque si cerca di spostare l'attenzione da un approccio quantitativo a uno qualitativo, anche se molti aspetti di come l'intelligenza si esprime ancora ci sfuggono.
Ci sono, insomma, degli aspetti misurabili e degli aspetti osservabili per individuare la plusdotazione.
Il primo aspetto che emerge, e che è anche facilmente osservabile, è la velocità con cui imparano. Dopo poche ripetizioni, gli alunni plusdotati hanno compreso e interiorizzato un argomento e sono immediatamente in grado di applicare le nuove conoscenze.
Questo aspetto si accompagna spesso a una memoria particolarmente efficace. La natura della memoria può variare da persona a persona, per qualcuno è più visuo-spaziale, per altri più verbale. Ma in generale si tratta di ottime capacità mnemoniche accompagnate da strategie efficaci.
Sono inoltre capaci di mantenere alti livelli di attenzione e spesso sono anche bambini che pongono molte domande e sono sempre alla ricerca di approfondimenti.
Invece la precocità non è una prerogativa della plusdotazione. Abbiamo casi di plusdotazione in cui il bambino può imparare a leggere precocemente e senza aiuti, ma in altri casi il percorso avviene con gli stessi tempi dei coetanei.
La prerogativa è che quando iniziano a parlare, non importa a che età, hanno da subito un vocabolario molto ampio. Sanno imparare molte più parole ed esprimersi con frasi più lunghe e complesse. Parlando con loro ci si dimentica l'età e la classe perché nell'interazione si dimostrano molto più grandi, talvolta a livello di un adulto.
A volte sanno anche modulare il vocabolario, scegliendo parole e sintassi più semplici quando interagiscono con i compagni e più complessi quando parlano con gli adulti.
Un altro aspetto interessante è l'impegno. Amano la complessità e si stancano della routine e dei compiti troppo semplici. Per questo si distraggono molto, non per carenza di attenzione (hanno infatti una grande capacità di restare concentrati) ma perché non trovano le attività abbastanza sfidanti.
Può capitare che il loro interesse si concentri talmente tanto su un aspetto che possono decidere di impegnarsi solo su una materia, tralasciando le altre che ritengono poco interessanti. Questo perché la loro motivazione intrinseca li spinge in una particolare direzione finché non ritengono di aver acquisito tutte le informazioni di cui hanno bisogno su quel tema.
Nella relazione con i compagni possiamo a volte assistere a situazioni di isolamento perché non riescono a condividere i propri interesse e trovare argomenti di discussione.
Bisogna resistere alla tentazione di voler "normalizzare" questo aspetto. I bambini plusdotati non vanno riportati verso i comportamenti più normali, bisogna invece cercare di armonizzare il loro atteggiamento.
Per prima cosa bisogna accettare questa plusdotazione e accompagnare il bambino verso i suoi interessi tenendo conto che dal punto di vista cognitivo può essere di due, tre o più anni avanti rispetto ai coetanei, ma non dal punto di vista emotivo. I suoi bisogni emotivi, affettivi e relazionali sono assolutamente normali e tipici della sua età.
È dunque un errore sia potenziare al massimo le sue capacità cognitive tralasciando gli aspetti emotivi, sia frenare i suoi interessi. L'obiettivo da darsi è trovare il giusto equilibrio tra i bisogni cognitivi e quelli emotivi.
L'adulto deve riuscire a fornire le informazioni che il bambino chiede per soddisfare la sua curiosità, ma facendosi sempre mediatore senza lasciarlo da solo. Quando non sa rispondere a una domanda non deve dare al bambino l'enciclopedia perché cerchi da solo la risposta, ma deve mettersi a cercarla insieme a lui.
Ovviamente ci saranno molte situazioni in cui il bambino mette in difficoltà l'adulto con la sua voglia di conoscere. A volta presentano un'eccessiva attività cognitiva o immaginativa, ma anche emotiva: sentono ed elaborano più emozioni e spesso le associano a un alto senso di giustizia (accade in moltissimi casi). Diventano a volte critici verso sé stessi o non rispettano le regole che non condividono.
A volte, inoltre, presentano un alto senso dell'umorismo che può trasformarsi anche in sarcasmo.
Tutte queste caratteristiche rendono problematica la relazione perché si genera un'asincronia tra lo sviluppo cognitivo ed emotivo. Immaginate un bambino di sette anni, con l'intelligenza di un bambino di undici ma la capacità di gestire le emozioni di un bambino di sette o anche meno anni. Quindi possiamo assistere a situazioni in cui sa risolvere equazioni anche piuttosto complesse ma si butta a terra urlando quando qualcosa non va come si aspetta.
A volte, anche se non è frequente, può presentarsi anche una asincronia tra abilità cognitive e motorie. Questo aspetto può generare un profilo di vulnerabilità, spesso collegato a fenomeni di ansia.
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